domenica 7 marzo 2010

Ara Pacis Augustae


L'ara 1
« [Cu]m ex H[is[]ania Gal[liaque, rebu]s in iis provincis prosp[e]re [gest]i[s], R[omam redi] Ti. Nerone P. Qui[ntilio c]o[n]s[ulibu]s, ~ aram [Pacis A]u[g]ust[ae senatus pro]redi[t]u meo consa[c]randam [censuit] ad campam [Martium, in qua ma]gistratus et sac[er]dotes [et v]irgines V[est]a[les ann]iversarium sacrific]ium facer[e decrevit.] »
« Quando tornai a Roma dalla Spagna e dalla Gallia [...] compiute felicemente le imprese in quelle provincie, il Senato decretò che per il mio ritorno si dovesse consacrare l'ara della Pace Augusta presso il Campo Marzio e dispose che in essa i magistrati, i sacerdoti e le vergini vestali celebrassero un sacrificio annuale. »
(Res Gestae Divi Augusti, 12-2.)

L'Ara Pacis Augustae è un altare dedicato da Augusto nel 9 a.C. alla Pace, intesa come dea romana, e posto in una zona del Campo Marzio consacrata alla celebrazione delle vittorie, luogo emblematico perché posto a un miglio (1.472 m) dal pomerium, limite della città dove il console di ritorno da una spedizione militare perdeva i poteri ad essa relativi (imperium militiae) e rientrava in possesso dei propri poteri civili (imperium domi).

Storia
Questo monumento rappresenta una delle più significative testimonianze dell'arte augustea ed intende simboleggiare la pace e la prosperità raggiunte come risultato della Pax Romana. Il 4 luglio del 13 a.C., infatti, il Senato decise la costruzione di un altare dedicato a tale raggiungimento in occasione del ritorno di Augusto da una spedizione pacificatrice di tre anni in Spagna e nella Gallia meridionale.

La dedica, cioè la cerimonia di consacrazione solenne, non ebbe però luogo fino al 30 gennaio del 9 a.C., data importante perché compleanno di Livia, moglie del princeps.

La scoperta dei primi blocchi scolpiti, appartenenti all'altare, risale alla metà del XVI secolo, in corrispondenza di Palazzo Fiano (già Peretti, ora Almagià). Solamente nel 1859 furono recuperati il rilievo di Enea e la testa di Marte del rilievo del Lupercale. Nei primi anni del XX secolo furono intrapresi scavi regolari, conclusi nel 1938 quando, ricomposte tutte le parti, l'altare fu collocato presso il Mausoleo di Augusto, a ridosso del lungotevere e ad una certa distanza dal luogo in cui il reperto fu originariamente ritrovato.

Caratteristiche artistiche
L'Ara Pacis è costituita da un recinto rettangolare (m 11,65 x 10,62 x h 3.68), elevato su podio, nei lati corti del quale si aprivano due porte, cui si accedeva da una scala; all'interno, sopra una gradinata, si ergeva l'altare vero e proprio. La superficie del recinto presenta una raffinata decorazione a rilievo.

Decorazioni interne e altare
La superficie interna del monumento reca nel registro superiore corone (festoni) sorrette da bucrani, cioè crani di buoi con ghirlande, ed in quello inferiore scanalature verticali simulanti uno steccato. Questo steccato rievocherebbe le recinzioni presenti attorno agli altari romani più antichi nelle foreste sui colli attorno alla città di Roma intorno al 7-6 secolo a.C.

L’altare è costituito da un podio di quattro gradini sul quale poggia un basamento che presenta altri quattro gradini solo su un fronte. Sopra di essi è collocata la mensa utilizzata per le offerte delle spoglie di animali, stretta tra due avancorpo laterali. Le due sponde laterali presentano vasi a volute vegetali e leoni alati. La mensa occupa tutto lo spazio interno del recinto dal quale è separato da uno stretto corridoio il cui pavimento è leggermente inclinato verso l’esterno. L'altare è decorato con personaggi femminili sullo zoccolo, mentre nel fregio superiore che gira all'interno ed all'esterno della mensa vi è la raffigurazione di un sacrificio con le Vestali ed il pontefice massimo.

Decorazioni esterne
I lati lunghi all'esterno, ai lati delle porte, i pannelli marmorei si possono dividere, come nell'interno, in lastre superiori e inferiori.

Nella parte bassa si ha un'ornamentazione naturalistica di girali d'acanto e, tra essi, piccoli animali (per esempio lucertole e serpenti). Possiamo notare un'eleganza che riconduce all'arte alessandrina e una finezza d'esecuzione. La natura viene infatti vista come un bene perduto, questo infatti è uno dei temi della poesia di quel tempo: basti pensare a Virgilio e Orazio.
Nella sezione superiore dei lati lunghi troviamo la rappresentazione del Lupercale, la grotta dove la lupa avrebbe allattato Romolo e Remo, ed il sacrificio di Enea ai Penati, entrambi di importanza artistica ben minore rispetto agli altri fregi. Infatti sulla fronte opposta vi sono la Pace o Tellus e la dea Roma, delle quali la saturnia tellus è la parte scultoreamente più prestigiosa dell'Ara Pacis. Sui lati brevi è raffigurata la processione per il voto dell'Ara, con la scena più importante sul fianco destro, con personaggi della famiglia imperiale (Augusto, Agrippa, Giulia, Tiberio, etc.): indossano tutti una toga (persino un bambino) e ciò rievoca le Panatenèe del fregio continuo del Partenone di Atene.
La profondità dello spazio è ottenuta mediante la gradualità del rilievo. In tutta la decorazione manca una logica strutturale (ad esempio non c'è una netta distinzione tra le decorazioni naturalistiche e la sovrastante figurazione).









Modifiche attuali
Dopo sette anni di lavori, è stato ultimato l'edificio destinato a racchiudere l'Ara Pacis, progettato dall'architetto Richard Meier in acciaio, travertino, vetro e stucco che è stato inaugurato e aperto ufficialmente al pubblico il 21 aprile 2006 in occasione del Natale di Roma. Ancora incompleto era stato aperto ai turisti anche nel settembre 2005.

I lavori sono stati più volte interrotti a causa di polemiche riguardanti l'aspetto della struttura. Sono state quindi concordate varie modifiche del progetto originale tendenti ad alleggerire l'impatto visivo di alcune superfici originariamente previste in alluminio e successivamente realizzate in travertino. Questo non ha impedito che l'opera sia stata accolta con pareri contrastanti. Il New York Times l'ha definita senza mezzi termini un "flop", mentre il famoso critico d'arte e polemista Vittorio Sgarbi l'ha liquidata spregiativamente definendola "una pompa di benzina texana nel cuore di uno dei centri storici più importanti del mondo" - nonché il primo passo verso una "internazionalizzazione" della Città di Roma. Tuttavia il giudizio non è affatto unanime: ad esempio Achille Bonito Oliva ha espresso apprezzamenti per il museo di Meier.

I materiali e le tecnologie 2Per la realizzazione del nuovo Museo sono state impiegate materie prime e realizzati impianti di assoluta qualità. La scelta dei materiali è finalizzata all'integrazione con l'ambiente circostante: il travertino, come elemento di continuità coloristica, l'intonaco e il vetro, in grado di offrire una compenetrazione tra interno ed esterno, un contemporaneo effetto di volume e trasparenza, di pieno e vuoto.

Il travertino proviene dalle stesse cave da cui fu estratto per la realizzazione di piazza Augusto Imperatore negli anni Trenta ed è lo stesso più recentemente utilizzato da R. Meier per il Getty Center di Los Angeles e altre importanti opere architettoniche. La sua lavorazione "a spacco" e le caratteristiche stesse della pietra ne fanno un materiale unico, prodotto con una tecnica messa a punto per lo stesso Meier.

L'illuminazione, sia interna che esterna, notturna e diurna impiega riflettori dotati di accessori anti-abbagliamento, filtri per la resa del colore e lenti che circoscrivono e modulano la distribuzione del fascio luminoso in relazione alle caratteristiche delle opere esposte.

L'intonaco bianco Sto-Verotec, già materiale d'uso tradizionale, qui viene impiegato su pannelli di vetro riciclato di dimensioni finora mai usate in Italia. Si caratterizza per l'estrema levigatezza, ottenuta attraverso sette strati di applicazione su rete vitrea e per la sua reazione "autopulente" agli agenti atmosferici.

Il vetro temperato che racchiude l'Ara è composto da due strati, ciascuno di 12 mm, separati da una intercapedine di gas argon e dotati di uno strato di ioni di metallo nobile per il filtraggio dei raggi luminosi. La sua tecnologia, studiata per ottenere un rapporto ottimale tra resa estetica, trasparenza, fonoassorbenza, isolamento termico e filtraggio della luce, si spinge al limite delle attuali possibilità tecniche.

Il microclima interno è affidato ad un complesso impianto di climatizzazione che risponde a due essenziali requisiti: essere il più discreto possibile rispetto all'architettura circostante e reagire in tempi brevi a cause perturbanti le condizioni termiche e di umidità. Una serie di ugelli crea una cortina d'aria che lambisce le grandi vetrate, impedendo fenomeni di condensazione e stabilizzandone la temperatura. A questo è stato associata l'alta tecnologia del sistema a pannelli radianti Seppelfricke SD: una fitta rete di tubi in polietilene reticolato elettronicamente sotto il pavimento e percorsa, secondo la necessità, da acqua temperata calda o fredda, al fine di creare condizioni climatiche ideali: assenza di polveri sospese dovute a moti convettivi dell'aria, sensibile diminuzione di acari, rispetto dell'ambiente grazie al forte risparmio energetico, climatizzando di fatto solamente i volumi nei quali sono presenti i visitatori.
Il grande salone dell'Ara è servito, inoltre, da un sofisticato impianto che consente la circolazione di aria con elevato grado di filtraggio anche in condizioni di affollamento due volte superiori al massimo previsto.

Restauri

I primi interventi di restauro riguardanti l'Ara Pacis e la sua sistemazione nel padiglione sul Lungotevere, datano agli inizi del 1950, quando il Comune fece liberare la struttura dal muro paraschegge, riparare la trabeazione dell'ara danneggiata dalle protezioni antiaeree e costruire tra i pilastri, in luogo delle vetrate rimosse durante la guerra, un muro di m. 4,50 d'altezza. Il vero ripristino del padiglione avvenne solo nel 1970 con la posa in opera di nuovi cristalli.

Nel corso degli anni Ottanta, si è proceduto al primo sistematico intervento di restauro sull'Ara, che ha comportato lo smontaggio e la sostituzione di alcuni dei perni in ferro a sostegno delle parti aggettanti del rilievo, oltre alla risarcitura delle fratture della malta, al consolidamento dei restauri storici, alla ripresa del colore delle parti non originali e naturalmente alla rimozione di polveri e residui depositatisi nel corso degli anni. In questo stesso intervento, la testa riconosciuta come Honos, ed inserita erroneamente nel pannello di Enea, è stata rimossa.

Anche se non adeguatamente isolato dalle vetrate ripristinate, si sperava che gli interventi degli anni Ottanta, consentissero la buona conservazione del monumento a lungo termine. Invece già alla metà degli anni Novanta si sono resi manifesti i problemi legati ad un'escursione termica e igrometrica troppo ampia e repentina: infatti la malta è tornata a riaprirsi in un reticolo di microfratture; l'umidità, raggiunti i perni in ferro che non era stato possibile sostituire, ha provocato la loro espansione e la frattura dall'interno del marmo; inoltre da indagini condotte sulla tenuta delle lastre maggiori, sono emersi risultati preoccupanti, quali segnali di distacco dal muro di sostegno; infine, uno strato di polveri grasse e acide si era depositato con stupefacente rapidità su tutta la superficie dell'altare, frutto dell'aumento incontrollato dell'inquinamento da traffico e da riscaldamento. Le precarie condizioni del monumento, nell'impossibilità di adeguare la teca esistente, hanno spinto nel 1995 il Comune di Roma a pensare alla sostituzione della vecchia teca.



"


Quando tornai a Roma dalla Spagna e dalla Gallia ... compiute felicemente le imprese in quelle provincie, il Senato decretò che per il mio ritorno si dovesse consacrare l'ara della Pace Augusta presso il Campo Marzio e dispose che in essa i magistrati, i sarcedoti e le vergini vestali celebrassero un sacrificio annuale"

(Res gestae divi Augusti 12,2).

L'Ara Pacis rappresenta una delle più alte espressioni dell'arte augustea e insieme un'opera dai profondi rimandi simbolici, che acquistano significato nel quadro del passaggio storico dalla Repubblica al nuovo assetto imperiale.

La sua costruzione fu votata dal Senato romano nel 13 a.C. per celebrare il vittorioso ritorno di Augusto dalle provincie occidentali, come lo stesso princeps ricorda nel racconto delle sue Res gestae. Poiché la dedicatio del monumento fu celebrata il 30 gennaio del 9 a.C., sappiamo che il completamento dell'opera richiese in tutto tre anni e mezzo, necessari alla realizzazione della ricca e complessa decorazione, affidata con tutta probabilità a scultori neoattici attivi a Roma nel I sec. a.C.

L'Ara Pacis è costituita da un recinto con due fronti di m.11,63 e due lati di m.10,625. Al centro dei lati più corti due aperture danno accesso all'altare propriamente detto, sul quale venivano compiuti i sacrifici.

La decorazione scultorea corre sia sul lati esterni che su quelli interni del recinto. Quella esterna si svolge su due fasce: la superiore reca un fregio figurato, l'inferiore una decorazione vegetale a girali d'acanto. Questa decorazione a bassorilievo rappresenta uno dei capolavori della scultura classica. I girali si sviluppano con simmetria rigorosa intorno all'asse disegnato dallo stelo verticale dell'acanto e celano nel fogliame piccoli animali (lucertole, serpenti, scorpioni e rane) o si intrecciano con rami di altre piante (uva, edera ed alloro). L'intera composizione è sormontata e ritmata dalla presenza di cigni ad ali spiegate in posizione araldica. L'evidente valenza simbolica dell'intero disegno e dei singoli elementi allude allo stato aureo di natura e al ritorno di un'età di rinascita e prosperità sotto la guida del princeps.

La fascia superiore esterna del recinto rappresenta, sui lati nord e sud, una processione. Sul fronte meridionale, rivolto verso la città, compare Augusto a capo velato e coronato di alloro, preceduto e seguito dai membri degli amplissima sacerdotia , le principali cariche sacerdotali dello Stato. Secondo l'interpretazione corrente, lo precedono i Pontifices e lo circondano gli Augures (da identificare piuttosto come consules, secondo una più recente lettura critica) mentre al suo seguito si riconoscono i tre Flamines maiores, i sacerdoti di Giove, Marte e Quirino, la massima triade di divinità della Roma arcaica.

Il significato della processione è oggetto di diverse interpretazioni. Un'ipotesi vuole Augusto ritratto nell'atto di procedere all' inauguratio , la cerimonia celebrata dagli Augures prima di dare inizio alla costruzione di un edificio sacro. La scena raffigurata sarebbe dunque l' inauguratio della stessa Ara Pacis, celebrata nel 13 a.C. E' anche possibile tuttavia che ad essere qui rappresentato sia invece il reditus di Augusto, il suo ritorno a Roma dalle vittoriose campagne in Gallia e Spagna, avvenuto il 4 luglio dello stesso 13 a.C. In questo caso i consoli e i massimi sacerdozi romani sarebbero rappresentati nell'atto di accogliere il principe vittorioso, portatore di pace, prosperità e abbondanza.

Sullo stesso fronte meridionale è ritratto Agrippa, amico, principale collaboratore e genero di Augusto, morto nel 12 a.C. durante la realizzazione dell'Ara Pacis. Agrippa apre la sequenza dei famigliari, concepita come un vero e proprio programma dinastico. La successione dei congiunti è così sapientemente calcolata che, come è stato notato, tutti gli imperatori romani, fino a Nerone, discendono dai membri della famiglia Giulia qui raffigurati.

Altri membri della famiglia imperiale, in genere di minore spicco, compaiono sul lato settentrionale del recinto. Qui la processione ritrae gli ordines sacerdotali dei Septemviri epulones , addetti ai sacrifici cruenti, degli Augures e dei Quindecemviri sacris faciundis , custodi dei libri sibillini, esaurendo in questo modo la rappresentazione delle cariche religiose più importanti dell'ordinamento romano.

Le due fronti dall'edificio, ai lati delle porte, sono decorate nella fascia superiore da quattro pannelli, due per ciascun lato. Sui pannelli del fronte occidentale sono rappresentati Enea che sacrifica una scrofa ai penati e Romolo e Remo allattati dalla lupa . Il primo motivo celebra la discendenza romana, e quella della gens Julia in particolare, da Enea e da suo figlio Julo Ascanio, da cui prende il nome la famiglia di Augusto. Il pannello di sinistra è molto frammentario. In esso era rappresentata la lupa che allatta Romolo e Remo alla presenza del dio Marte, padre dei gemelli, e del pastore Faustolo. In questo modo l'Ara Pacis significava la doppia origine divina dei romani e del principe: dal dio guerriero i primi, tramite i gemelli, da Venere il secondo, tramite il pius Enea.

Sul fronte orientale il pannello di sinistra rappresenta la cosiddetta Tellus, secondo il motivo ellenistico della terra fertile e dei suoi frutti, rappresentati dai due putti che le siedono in grembo. La Tellus, certamente la rappresentazione più nota e studiata dell'intera Ara Pacis, è in realtà meglio interpretabile come divinità polisemica, dalle molte valenze simboliche, riassuntiva dei significati di pace e prosperità e assimilabile, par altri versi, alle figure di Ghe, Venere e Rea Silvia. Ai lati due ninfe, una su un cigno, la seconda su un drago marino, forse a simboleggiare l’aria e l’acqua. Del pannello di destra resta solo il frammento di una figura femminile seduta sopra un trofeo d’armi: con tutta probabilità la dea Roma vincitrice, forse affiancata, all’origine, dalle figurazioni di Honos e Virtus. Giuste queste interpretazioni, l’Ara Pacis accoglieva chi entrasse dalla via Flaminia con la rappresentazione della pax romana stabilita tramite l’imperio terra marique.

Anche lungo le pareti interne del recinto si svolgono due fregi sovrapposti, rappresentanti l'inferiore una palizzata in legno e il superiore una serie di ghirlande di frutta e foglie, in cui si distinguono piante di valore simbolico intramezzate da bucrani sorretti da fasce sacrificali. Da un'analisi condotta nel 1937 si è supposta la cromia delle figurazioni vegetali e la doratura del vasellame sacrificale.

L'altare interno è forse la parte meno conservata dell'Ara. Pochi i frammenti recuperati del fregio che correva lungo lo zoccolo. All'altezza della mensa rimane invece una figurazione di dimensioni ridotte, dove si distinguono le vestali, gli apparitores victimarii al sacrificio annuale che ogni anno, come ricordano le Res gestae, si celebrava sulla stessa mensa.

La Teca e il museo novecentesco dell'Ara Pacis

Il 20 gennaio 1937 si iniziò a prendere in esame la possibilità di ricostruire l'altare; scartata l'ipotesi di ricomporre l'Ara in situ , dal momento che ciò avrebbe comportato la demolizione di palazzo Fiano-Almagià, vennero proposte la ricostruzione nel Museo delle Terme, la realizzazione di un Museo ipogeo presso l'Augusteo, la ricostruzione dell'Ara Pacis su via dell'Impero. Ma fu Mussolini a decidere la ricostruzione dell'Ara nei pressi del Mausoleo di Augusto, "sotto un porticato" tra via di Ripetta e il Lungotevere. Come è noto, l'Ara Pacis venne ricostruita all'interno di un padiglione su via di Ripetta in meno di un anno e mezzo. Il progetto definitivo, presentato al Governatorato nel novembre 1937, non fu interamente rispettato in fase esecutiva, probabilmente per il grande ritardo accumulato nella realizzazione dei lavori. Infatti alla Ditta Vaselli, vincitrice della gara per la realizzazione del contenitore, venne consegnato il cantiere solo a pochi mesi dal 23 settembre, data fissata per l'inaugurazione dell'Ara Paci e a Morpurgo, progettista del padiglione, non restò che accettare la semplificazione del progetto: cemento e finto porfido furono impiegati in luogo del travertino e del marmo pregiato, mentre il ritmo e l'andamento dei pilastri, sia in facciata che lateralmente, vennero cambiati.
Alla base del compromesso ci fu un'intesa non scritta, tra architetto e Governatorato, di ritenere provvisoria la sistemazione e di rimettere mano alla teca dopo l'inaugurazione. Ma la somma richiesta, l'incertezza dei tempi e la guerra già nell'aria renderanno irrealizzabile quanto programmato.

Negli anni del conflitto le vetrate furono rimosse e il monumento protetto da sacchetti di pozzolana, sostituiti in seguito da un muro paraschegge. Solamente nel 1970 la teca fu ripristinata.


IL PROGETTO MEIER

La decisione di riedificare l'Ara Pacis nel suo sito attuale non fu determinata da preoccupazioni circa la sua tutela o in vista di una sua esposizione ottimale, ma da ragioni di propaganda politica. Il complesso di piazza Augusto Imperatore era infatti concepito per essere un nuovo centro storico-mitologico della città moderna e del moderno impero. Al centro del progetto il Mausoleo di Augusto, da poco tempo "liberato" con l'intenzione di fame l'ultima dimora del Duce. Ad ovest l'Ara Pacis, sulla stretta striscia tra le due direttrici di via di Ripetta e del Lungotevere, doveva invece risolvere architettonicamente e simbolicamente la frattura creata nel tessuto storico urbano dall'intervento fascista. In realtà il padiglione progettato dal Morpurgo, oltre a non risolvere i problemi architettonici, ne creava altri molto gravi relativi alla tutela del monumento stesso. Nell'affrettata ricostruzione del 1938 venivano infatti compromessi i più elementari principi conservativi. Il controllo ambientale degli spazi veniva preso in scarsa considerazione e il traffico che oggi scorre sul Lungotevere semplicemente non era previsto. Di fatto il padiglione genera un microclima caratterizzato da variazioni estreme e persino violente di temperatura ed umidità. Queste variazioni, combinate ai danni provocati dagli agenti atmosferici - innanzitutto l'inquinamento da traffico - mettono a rischio il marmo stesso del monumento, oltre che le parti di restauro in stucco.

Sponsorizzato da Banca di Roma, Monte dei Paschi di Siena e Banca Nazionale del Lavoro , il progetto Meier intende a risolvere sia i problemi architettonici che le minacce ambientali. Nota l'abilità dell'architetto nel trattamento della luce, si è presa nella dovuta considerazione l'illuminazione dell'altare, ma soprattutto verrà adeguatamente messo sotto controllo il microambiente del museo, al fine di assicurare un livello di temperatura e umidità costante e in modo tale da eliminare tutti gli agenti inquinanti, incluso il rumore. In pianta e in alzato il progetto Meier è caratterizzato da una composizione tripartita articolata lungo l'asse nord-sud del sito. La composizione fa centro sull'Ara Pacis e sulle Res gestae con volumi secondari a nord e sud, concepiti anche allo scopo di ripristinare una serie di vedute corte, caratteristiche dell'esperienza visuale di chi passeggia nel centro di una città storica. Gli elementi compositivi sono intrecciati in un sottile rimando di punto/linea/piano/volume, solidità/trasparenza, figura/sfondo. i materiali proposti da Meier, che riflettono i suoi ideali estetici, sono quelli suggeriti dal disegno di Morpurgo: travertino, stucco, vetro e acciaio. Il progetto sfrutta al massimo le difficili condizioni del sito, estendendo gli spazi del museo al livello di via di Ripetta, per migliorare l'integrazione dell'Ara Pacis con la città contemporanea. A sud è prevista un'ampia piazza sopraelevata, a livello del Lungotevere, cui si accederà da via di Ripetta attraverso la fuga di una scala monumentale. Al centro della piazza Meier ha collocato uno gnomone, la cui distanza dal monumento risulterà uguale a quella che un tempo separava l'Ara dall'obelisco-gnomone della meridiana di Augusto. Sulla piazza è l'entrata al museo, segnalata da un volume supplementare che ospita un vestibolo, il foyer del museo, il servizio di vendita e, in cima a una corta fuga di scale e a una rampa d'accesso per disabili, un nuovo spazio espositivo concepito come una galleria introduttiva illuminata artificialmente, così da poter ospitare mostre di materiali fotosensibili (fotografie, disegni ecc.).

La grande sala dell'Ara Pacis è rielaborata con la proposta di una nuova struttura separata dall'involucro dell'edificio per consentire una maggiore trasparenza. Le vetrate di divisione sono derivate dalle proporzioni dell'altare. In alto una serie di lucernai orientati a nord, provvisti di schermature regolabili per filtrare e modulare la luce. Insieme, lucernai e pareti di vetro, forniranno una luce che illuminerà l'Ara, piuttosto che eclissarla. Un nuovo spazio espositivo per i frammenti che non hanno trovato sistemazione durante il rifacimento del 1938 è previsto al piano inferiore del museo, accessibile da una rampa di scale e da un ascensore. Allo stesso livello, sotto la piazza elevata, si trovano una biblioteca che integrerà documentazione cartacea e digitale per creare in situ un moderno "portale" alla Roma augustea e gli uffici amministrativi. A nord un auditorium a cui si accede anche da via di Ripetta. Il suo volume "monolitico", che rispecchia quello della vicina Accademia delle Belle Arti, serve ad ancorare il progetto e la piazza a via di Ripetta. L'auditorium, collegato agli spazi museali attraverso la gradinata della sala, è pensato in modo tale da poter funzionare indipendentemente.

I particolari del progetto Il progetto per il nuovo complesso museale dell'Ara Pacis è stato redatto da Richard Meier & Partners Architects, studio statunitense a cui si devono alcuni dei più notevoli musei della seconda metà del Novecento. La cantierizzazione del progetto è stata assegnata all'italiana Maire Engineering ed è curata, per l'Amministrazione comunale, dalla Sovraintendenza ai Beni Culturali e dall'Ufficio Città Storica. L'edificio, rimasto sostanzialmente inalterato, è stato concepito per essere permeabile e trasparente nei confronti dell'ambiente urbano, senza compromettere la salvaguardia del monumento. Un organismo ad andamento lineare che si sviluppa secondo l'asse principale nord-sud e si articola in aree scoperte, ambienti completamente chiusi e in zone chiuse, ma visivamente aperte alla penetrazione della luce.

Il nuovo complesso museale, che ricompone la quinta edilizia ad ovest del Tridente, è suddiviso in tre settori principali. Al primo settore, una Galleria chiusa alla luce naturale, si accede tramite una scalinata che supera il dislivello tra via di Ripetta e il Lungotevere e raccorda la nuova costruzione alle chiese neoclassiche antistanti. La scalinata presenta due elementi di richiamo al passato: una fontana, memoria del Porto di Ripetta che insisteva proprio su quest'area, e una colonna che misura dall'Ara la stessa distanza che, in età augustea, la separava dall'obelisco della grande meridiana. La Galleria, che ospiterà i servizi di accoglienza, assolverà la duplice funzione di introdurre la visita al monumento e di "schermare" l'Ara da meridione. Superata la sua penombra, si entra nel Padiglione centrale, dove di giorno l'Ara è immersa nella luce diffusa dei lucernari e da ampi cristalli filtranti. Questa soluzione ha comportato il montaggio di oltre 1500 mq di vetro temperato, in lastre grandi fino a tre metri per cinque, tali da annullare l'effetto-gabbia del Padiglione e garantire il massimo di visibilità.

Il terzo settore, a nord, ospita una Sala per convegni disposta su due piani e fornita di un locale per ristorazione. Sopra la sala, un';ampia terrazza aperta al pubblico affaccia sul Mausoleo di Augusto. Sfruttando il dislivello esistente tra il Lungotevere e via di Ripetta, è stato inoltre ricavato un vasto piano semi-interrato, fiancheggiato dal Muro delle Res Gestae, unico elemento conservato del vecchio padiglione. In questi spazi verranno realizzati una biblioteca, gli uffici di direzione e due grandi sale illuminate artificialmente, dove saranno esposti i frammenti non ricollocati nella costruzione del 1938 e altri importanti rilievi della cosiddetta Ara Pietatis. A questi spazi, utilizzabili anche per mostre temporanee, si accederà sia internamente, sia tramite due ingressi indipendenti a sud e nord di via Ripetta.

Bibliografia 4

AA.VV., Richard Meier: il Museo dell'Ara Pacis, Milano 2007.

Piero Adorno, L'arte italiana, volume primo-tomo primo, G. d'Anna, 1985

Orsini Orietta, Ara Pacis, Electa Roma 2007

Eugenio La Rocca ,Ara pacis Augustae : in occasione del restauro della fronte orientale, Erma ed. 1986

G. Moretti, Ara Pacis Augustae, 1946.

Filippo Coarelli, Guida archeologica di Roma, Roma 2000

Ranuccio Bianchi Bandinelli e Mario Torelli, L'arte dell'antichità classica, Etruria-Roma, Utet, Torino 1976.

E. Simon, Ara Pacis Augustae, 1967.

venerdì 5 marzo 2010

il gruppo scultoreo de " IL LAOCOONTE"


Il gruppo scultoreo del Laocoonte ed i suoi figli, nota anche con il nome di Gruppo del Laocoonte, è una scultura monumentale di marmo che si trova a Roma, ai Musei Vaticani, nel Museo Pio-Clementino e raffigura il famoso episodio narrato nell'Eneide che vede il troiano Laocoonte ed i suoi figli assaliti da serpenti marini.

Il ritrovamento [modifica]

La statua fu trovata nel gennaio del 1506 scavando in una vigna sul colle Oppio di proprietà di Felice de Fredis[1], nelle vicinanze della Domus Aurea di Nerone. Allo scavo, di portata stupefacente secondo le cronache dell'epoca, assisterono di persona, tra gli altri, lo scultore Michelangelo e l'architetto Giuliano da Sangallo inviato dal papa a valutare il ritrovamento, secondo la testimonianza Francesco, giovane figlio di Giuliano, che, ormai anziano, ricorda l'episodio in una lettera[2]. Secondo questa testimonianza fu proprio Giuliano da Sangallo ad identificare i frammenti ancora parialmente sepolti con la scultura citata da Plinio[3], il quale racconta di averla vista nella casa dell'imperatore Tito[4], attribuendola a tre scultori provenienti da Rodi: Agesandro, Atanodoro e Polidoro. Identificazione ancora generalmente accettata, visto che la residenza privata di Tito si doveva trovare proprio sul colle Oppio. Accettata è anche l'attribuzione ai tre artisti rodii[5], anche se potrebbe trattarsi di una copia coeva.

La statua [modifica]

Il Gruppo del Laocoonte, composto da più parti distinte[6], raffigura Laocoonte ed i suoi due figli Antifante e Timbreo mentre sono strangolati da serpenti marini. Nell'Eneide Virgilio descrive l'episodio come la vendetta di Poseidone per il tentativo di Laocoonte di opporsi all'ingresso del Cavallo di Troia nella città[7][8].

Il sacerdote di Apollo viene stretto con i suoi figli dai serpenti di mare inviati da Poseidone. La sua posa è instabile perché nel tentativo di liberarsi dalla stretta dei serpenti Laocoonte richiama tutta la sua forza. I suoi arti e il suo corpo assumono una posa pluridirezionale e in torsione, che si slancia nello spazio. L'espressione dolorosa del suo viso unita al contesto e la scena danno una resa psicologica notevole e quasi teatrale.

Varie date sono state proposte per questa statua, forse copia di un originale bronzeo ellenistico[9], dalla metà del II secolo a.C. alla meta del I secolo d.C. Alcune iscrizioni trovate a Lindos, sull'isola di Rodi fanno risalire la presenza di Agesandro e Atenedoro ad un periodo successivo al 42 a.C., ed in questo modo la data più probabile per la creazione del Laocoonte deve essere compresa tra il 40 ed il 20 a.C., per una ricca casa patrizia, o più probabilmente per una committenza imperiale (Augusto, Mecenate), anche se il Laocoonte sembra lontano dallo stile neoattico in auge nel periodo. Visto il luogo di ritrovamento è anche possibile che la statua sia appartenuta, per un periodo, a Nerone.

La collocazione al Belvedere [modifica]

La statua fu acquistata subito dopo la scoperta dal papa Giulio II, che era un appassionato classicista, e fu sistemata, in posizione di rilievo, nel cortile ottagonale ("Cortile delle Statue") progettato da Bramante all'interno del complesso del Giardino del Belvedere proprio per accogliere la collezione papale di scultura antica di cui il Laocoonte insieme all'Apollo del Belvedere costituiva il pezzo più importante, e fu oggetto dell'incessante successione di visite, anche notturne, da parte di curiosi, artisti e viaggiatori. Tale allestimento è considerato l'atto fondativo dei Musei Vaticani[10].

L'influenza culturale [modifica]

La scoperta del Laocoonte ebbe enorme risonanza tra gli artisti e gli scultori ed influenzò significativamente l'arte rinascimentale italiana e nel secolo successivo la scultura barocca. Si sa che Michelangelo fu particolarmente impressionato dalla rilevante massa della statua e dal suo aspetto sensuale, in particolare nella rappresentazione delle figure maschili. Molti dei lavori di Michelangelo successivi alla scoperta, come lo Schiavo ribelle[11] e lo Schiavo morente[12], furono influenzati dal Laocoonte. Molti scultori si esercitarono sul Laocoonte facendone calchi e copie anche a grandezza naturale.

Il re di Francia insistette molto per avere la statua dal papa o almeno una sua copia. A tal fine, intorno al 1520, lo scultore fiorentino Baccio Bandinelli ricevette l'incarico dal cardinale Giulio de' Medici papa Clemente VII Medici, di farne una copia, oggi agli Uffizi. Il re di Francia, però, dovette accontendarsi di inviare, intorno al 1540, lo scultore Francesco Primaticcio a Roma per ricavarne un calco per ricavarne una copia in bronzo destinata a Fontainebleau. Un'altra copia si trova nel Gran Palazzo dei Cavalieri di Rodi a Rodi. Una copia in gesso, appartenuta a Mengs, si trova nell'Accademia di belle arti di Roma.

Il fascino della scultura coinvolse per secoli artisti ed intellettuali come Gian Lorenzo Bernini e Winckelmann. La tragica mobilità di questa statua è uno dei temi nel saggio Laokoön, di Lessing, uno dei primi classici di critica dell'arte.

Il restauro cinquecentesco [modifica]

Quando il gruppo scultoreo fu scoperto, benché in buono stato di conservazione, presentava il padre ed il figlio minore entrambi privi del braccio destro. Dopo un primo ripristino, forse del Bandinelli, del braccio del figlio minore e di alcune dita del figlio maggiore, artisti ed esperti discussero su come dovesse essere stata la parte mancante nella raffigurazione del sacerdote troiano. Michelangelo supponeva che originariamente il braccio destro fosse stato all'indietro dietro la spalla di Laocoonte[senza fonte]. Altri invece credevano che fosse più appropriato mostrare il braccio esteso in fuori in un gesto eroico. Il papa organizzò una gara informale tra i vari scultori per fare una sostituzione del braccio destro che sarebbe stata giudicata da Raffaello[senza fonte]. Il braccio vincente in posizione estesa in fuori (opera di Orfeo Boselli), fu attaccato alla statua.

L'aspetto attuale [modifica]

La statua fu confiscata e portata a Parigi da Napoleone dopo la conquista dell'Italia del 1799. Fu sistemata nel posto d'onore al Louvre dove fu una delle fonte d'ispirazione del neoclassicismo in Francia. Dopo la caduta di Napoleone, fu riportata nel Vaticano nel 1815, sotto la cura di Antonio Canova.

Nel 1906 fu trovato il braccio destro originario, piegato a gomito e mancante della mano, nella posizione quindi che era stata ipotizzata da Michelangelo. Un intervento di restauro effetuato tra il 1957 ed il 1960 ha ripristinando l'aspetto originario riunendo il braccio rinvenuto alla statua. Oggi il gruppo del Laooconte è una delle opere più prestigiose dei Musei vaticani.


Note [modifica]

  1. ^ L'epitaffio sulla tomba di Felice de Fredis in Santa Maria in Araceli ricorda l'avvenimento; vd: AA.VV. Laocoonte: alle origini dei Musei Vaticani, 2006
  2. ^ AA.VV. Laocoonte: alle origini dei Musei Vaticani, 2006.
  3. ^ Esisstono comunque testimonianze coeve che danno la stessa identificazione della scultura appena rinvenuta: vd.Salvatore Settis, Laocoonte, fama e stile, 1999.
  4. ^ Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, 36, 37
  5. ^ AA.VV. Laocoonte: alle origini dei Musei Vaticani, 2006
  6. ^ Plinio, in effetti, descrive una scultura ricavata da un unico blocco marmoreo (ex uno lapide). Tale circostanza ha creato sempre molti dubbi di identificazione ed attribuzione: vd. Salvatore Settis, Op. cit., 1999.
  7. ^ cfr. Laocoonte
  8. ^ cfr. Timeo Danaos et dona ferentes
  9. ^ Salvatore Settis, Op. cit., 1999
  10. ^ AA.VV. Laocoonte: alle origini dei Musei Vaticani, 2006
  11. ^ Museo del Louvre
  12. ^ ibidem

Bibliografia [modifica]

  • Haskell, Francis, e Nicholas Penny, 1981. Taste and the Antique: The Lure of Classical Sculpture 1500-1900 (Yale University Press), cat. no. 52, pp 243-47.

mercoledì 3 marzo 2010

integrazione classe IB: " la rappresentazione dell'immagine"

la bidimensionalità è una caratteristica...

policleto


Policleto (Argo, V secolo a.C.) è uno scultore e bronzista greco antico del periodo classico. Fu una delle massime figure della scultura greca del periodo classico (anche se certi elementi lo collegano anche all'ultimo arcaismo).

Fu l'autore di un trattato, chiamato Il Canone (κάνον), in cui teorizzava le proporzioni e i rapporti numerici ideali del corpo umano. Il trattato è andato perduto assieme alle sue opere scultoree, ma le sue elaborazioni teoriche e le realizzazioni artistiche ci sono note attraverso le copie romane delle sue statue, che testimoniano anche della fama e della fortuna che ebbero presso gli antichi.

Contemporaneo di Fidia e Mirone, allievo di Agelada, fu attivo principalmente tra il 465 e il 417 a.C. Come artista ebbe molto successo in Grecia grazie alle sue opere e la girò spesso per pubblicizzarle e venderle; meno noto a noi rispetto al contemporaneo Fidia, era molto apprezzato dai privati, come dimostrano la gran quantità di copie delle sue statue. Della sua vita si sa ben poco e la data di nascita e morte sono tuttora incerte.

Indice

[nascondi]

Opere [modifica]

Il Canone [modifica]

Il trattato scritto da Policleto teorizzava le proporzioni e i rapporti numerici ideali del corpo umano. Esso riscosse molto successo nel mondo greco, poiché risolveva i principali problemi della statuaria greca: altri artisti come Mirone e Calamide cercarono prima di lui di creare statue con perfette proporzioni e con movimento naturale, ma non riuscirono mai ad unire le due cose. Infatti, se Calamide manteneva giuste proporzioni con movimenti rigidi e innaturali, Mirone al contrario non sapeva unire al movimento naturale e realistico delle corrette misure corporee. Con Policleto quindi si aprì un nuovo periodo per l'arte greca, il periodo classico. Policleto è infatti considerato il primo vero artista del periodo classico, poiché grazie alle sue regole favorì lo sviluppo di molti scultori e bronzisti.

Statuaria [modifica]

Tra le statue bronzee eseguite da Policleto ricordiamo il Diadumeno (c. 430 a.C.), l'Amazzone ferita (c. 435 a.C.), la statua crisoelefantina di Era (c. 420 a.C.), il Discoforo, l'Efebo Westmacott, ma soprattutto il Doriforo (c. 450 a.C.). In quest'opera è evidentemente apprezzabile il canone da lui inventato, in quanto la testa del soggetto è 1/8 dell'altezza. Secondo la teoria infatti per eseguire una statua dalle proporzioni perfette bisognava realizzarla con un'altezza complessiva pari a otto volte quella della testa. Le proporzioni della statua erano: 3/8 busto, 4/8 gambe, 1/8 testa. Queste misure vennero calcolate facendo la media fra le misure di molte persone, che Policleto misurò personalmente.


L'Altare d'Oro della basilica milanese dedicata a Sant'Ambrogio risale all'842 circa, ed è uno dei maggiori esempi dell'arte carolingia in Italia.
È realizzato in legno, presenta una forma di parallelepipedo a cui sono state sovrapposte, su tutte le sue superfici, lastre d'oro e di argento dorato. Le lastre sono lavorate con la tecnica dello sbalzo, abbellite da cornici decorate da gemme preziose e smalti.

La fronte posteriore, seppure rivolta al clero e all’abside, è in realtà il lato principale dell'opera. Su questa facciata sono raffigurate le Storie della vita di sant'Ambrogio, realizzate dalla mano del maestro Vuolvinio. La firma di Vuolvinio si trova sul lato posteriore: ciò ha fatto pensare che il maestro avesse realizzato di sua mano solo questi pannelli e alcuni sui fianchi, e che sul resto dell'opera avesse esercitato una sorta di supervisione artistica.

Sulla facciata anteriore, figurano invece le Storie della vita di Cristo, attribuite ai Maestri allievi di Volvinio.

Lo stile di Vuovinio è un perfetto esempio del gusto classicheggiante dell'arte carolingia, ma si distingue comunque per il sapiente equilibrio nella composizione, e inoltre i gesti dei personaggi sono contenuti ed il rapporto tra pieni e vuoti è molto calibrato. È quindi più plastico e definito rispetto allo stile del fronte anteriore. Altre caratteristiche dell'arte di Vuolvinio sono la chiarezza della narrazione e i particolari dei paesaggi semplici ed essenziali, le forme salde, tondeggiati e i contorni limpidi, la freschezza nel tratteggiare le figure e nel rendere il movimento. Proprio la semplicità di queste figure ha suggerito all’autore di inserire delle scritte in latino, sotto ad ogni personaggio, affinchè si riconoscesse e fosse più chiara anche la scena rappresentata.
Bisogna comunque osservare che Volvinio ha una particolare cura per i piccoli oggetti apparentemente insignificanti che riguardano la vita di tutti i giorni, come le ciabatte del santo, nella scena che rappresenta il suo sogno.

L’altare ha una forma di parallelepipedo (di 85×220×122 cm) che ricorda vagamente una cassa-sarcofago, ma in realtà, a contrario di quanto si possa pensare vedendolo, inizialmente esso non venne progettato per contenere i resti dei tre santi, Gervasio, Protasio e naturalmente Ambrogio, ma assunse questa funzione di reliquiario solo in seguito e la mantiene ancor ora.

L’altare dev’ essere stato sicuramente eseguito da un'unica bottega, anche se presenta diversi stili, dovuti a personalità artistiche diverse che hanno lavorato alla stessa opera.
Le quattro facce laterali sono decorate da pannelli scolpiti con la tecnica dello sbalzo e solo i due lati minori non sono suddivisi in riquadri figurati, ma presentano delle croci. Sui due lati maggiori, le formelle figurate sono separate fra loro da ricche cornici decorate con raffinati motivi a filigrana tipici dell’arte longobarda, e impreziosite con pietre di grande valore incastonate in vari punti, e placchette multicolori, preferibilmente bianco, turchese, blu e rosso (tipici della Lombardia). La tecnica di lavorazione di queste placchette consiste in un particolare tipo di decorazione a smalto chiamato “cloisonné”, e nei punti dove si incrociano le formelle raffigurano volti umani (probabilmente santi) e angeli. Sul lato anteriore le placchette a smalto propongono motivi decorativi a imitazione di mosaici.

L. Cenni (alunno del Liceo Classico Monti, Cesena)


Bibliografia

Gricco, F. Di Teodoro Itinerario nell’arte, vol. 2. Zanichelli editore, 2006
Enciclopedia Encarta® 2006
Enciclopedia Finson® 2006
Enciclopedia multimediale Wikipedia® 2009
Enciclopedia Wikipedia-exa® 2007-2008
Enciclopedia Treccani® multimediale 2009
Enciclopedia Sapere® multimediale 2009