
Il gruppo scultoreo del Laocoonte ed i suoi figli, nota anche con il nome di Gruppo del Laocoonte, è una scultura monumentale di marmo che si trova a Roma, ai Musei Vaticani, nel Museo Pio-Clementino e raffigura il famoso episodio narrato nell'Eneide che vede il troiano Laocoonte ed i suoi figli assaliti da serpenti marini.
Il ritrovamento [modifica]
La statua fu trovata nel gennaio del 1506 scavando in una vigna sul colle Oppio di proprietà di Felice de Fredis[1], nelle vicinanze della Domus Aurea di Nerone. Allo scavo, di portata stupefacente secondo le cronache dell'epoca, assisterono di persona, tra gli altri, lo scultore Michelangelo e l'architetto Giuliano da Sangallo inviato dal papa a valutare il ritrovamento, secondo la testimonianza Francesco, giovane figlio di Giuliano, che, ormai anziano, ricorda l'episodio in una lettera[2]. Secondo questa testimonianza fu proprio Giuliano da Sangallo ad identificare i frammenti ancora parialmente sepolti con la scultura citata da Plinio[3], il quale racconta di averla vista nella casa dell'imperatore Tito[4], attribuendola a tre scultori provenienti da Rodi: Agesandro, Atanodoro e Polidoro. Identificazione ancora generalmente accettata, visto che la residenza privata di Tito si doveva trovare proprio sul colle Oppio. Accettata è anche l'attribuzione ai tre artisti rodii[5], anche se potrebbe trattarsi di una copia coeva.
La statua [modifica]
Il Gruppo del Laocoonte, composto da più parti distinte[6], raffigura Laocoonte ed i suoi due figli Antifante e Timbreo mentre sono strangolati da serpenti marini. Nell'Eneide Virgilio descrive l'episodio come la vendetta di Poseidone per il tentativo di Laocoonte di opporsi all'ingresso del Cavallo di Troia nella città[7][8].
Il sacerdote di Apollo viene stretto con i suoi figli dai serpenti di mare inviati da Poseidone. La sua posa è instabile perché nel tentativo di liberarsi dalla stretta dei serpenti Laocoonte richiama tutta la sua forza. I suoi arti e il suo corpo assumono una posa pluridirezionale e in torsione, che si slancia nello spazio. L'espressione dolorosa del suo viso unita al contesto e la scena danno una resa psicologica notevole e quasi teatrale.
Varie date sono state proposte per questa statua, forse copia di un originale bronzeo ellenistico[9], dalla metà del II secolo a.C. alla meta del I secolo d.C. Alcune iscrizioni trovate a Lindos, sull'isola di Rodi fanno risalire la presenza di Agesandro e Atenedoro ad un periodo successivo al 42 a.C., ed in questo modo la data più probabile per la creazione del Laocoonte deve essere compresa tra il 40 ed il 20 a.C., per una ricca casa patrizia, o più probabilmente per una committenza imperiale (Augusto, Mecenate), anche se il Laocoonte sembra lontano dallo stile neoattico in auge nel periodo. Visto il luogo di ritrovamento è anche possibile che la statua sia appartenuta, per un periodo, a Nerone.
La collocazione al Belvedere [modifica]
La statua fu acquistata subito dopo la scoperta dal papa Giulio II, che era un appassionato classicista, e fu sistemata, in posizione di rilievo, nel cortile ottagonale ("Cortile delle Statue") progettato da Bramante all'interno del complesso del Giardino del Belvedere proprio per accogliere la collezione papale di scultura antica di cui il Laocoonte insieme all'Apollo del Belvedere costituiva il pezzo più importante, e fu oggetto dell'incessante successione di visite, anche notturne, da parte di curiosi, artisti e viaggiatori. Tale allestimento è considerato l'atto fondativo dei Musei Vaticani[10].
L'influenza culturale [modifica]
La scoperta del Laocoonte ebbe enorme risonanza tra gli artisti e gli scultori ed influenzò significativamente l'arte rinascimentale italiana e nel secolo successivo la scultura barocca. Si sa che Michelangelo fu particolarmente impressionato dalla rilevante massa della statua e dal suo aspetto sensuale, in particolare nella rappresentazione delle figure maschili. Molti dei lavori di Michelangelo successivi alla scoperta, come lo Schiavo ribelle[11] e lo Schiavo morente[12], furono influenzati dal Laocoonte. Molti scultori si esercitarono sul Laocoonte facendone calchi e copie anche a grandezza naturale.
Il re di Francia insistette molto per avere la statua dal papa o almeno una sua copia. A tal fine, intorno al 1520, lo scultore fiorentino Baccio Bandinelli ricevette l'incarico dal cardinale Giulio de' Medici papa Clemente VII Medici, di farne una copia, oggi agli Uffizi. Il re di Francia, però, dovette accontendarsi di inviare, intorno al 1540, lo scultore Francesco Primaticcio a Roma per ricavarne un calco per ricavarne una copia in bronzo destinata a Fontainebleau. Un'altra copia si trova nel Gran Palazzo dei Cavalieri di Rodi a Rodi. Una copia in gesso, appartenuta a Mengs, si trova nell'Accademia di belle arti di Roma.
Il fascino della scultura coinvolse per secoli artisti ed intellettuali come Gian Lorenzo Bernini e Winckelmann. La tragica mobilità di questa statua è uno dei temi nel saggio Laokoön, di Lessing, uno dei primi classici di critica dell'arte.
Il restauro cinquecentesco [modifica]
Quando il gruppo scultoreo fu scoperto, benché in buono stato di conservazione, presentava il padre ed il figlio minore entrambi privi del braccio destro. Dopo un primo ripristino, forse del Bandinelli, del braccio del figlio minore e di alcune dita del figlio maggiore, artisti ed esperti discussero su come dovesse essere stata la parte mancante nella raffigurazione del sacerdote troiano. Michelangelo supponeva che originariamente il braccio destro fosse stato all'indietro dietro la spalla di Laocoonte . Altri invece credevano che fosse più appropriato mostrare il braccio esteso in fuori in un gesto eroico. Il papa organizzò una gara informale tra i vari scultori per fare una sostituzione del braccio destro che sarebbe stata giudicata da Raffaello . Il braccio vincente in posizione estesa in fuori (opera di Orfeo Boselli), fu attaccato alla statua.
L'aspetto attuale [modifica]
La statua fu confiscata e portata a Parigi da Napoleone dopo la conquista dell'Italia del 1799. Fu sistemata nel posto d'onore al Louvre dove fu una delle fonte d'ispirazione del neoclassicismo in Francia. Dopo la caduta di Napoleone, fu riportata nel Vaticano nel 1815, sotto la cura di Antonio Canova.
Nel 1906 fu trovato il braccio destro originario, piegato a gomito e mancante della mano, nella posizione quindi che era stata ipotizzata da Michelangelo. Un intervento di restauro effetuato tra il 1957 ed il 1960 ha ripristinando l'aspetto originario riunendo il braccio rinvenuto alla statua. Oggi il gruppo del Laooconte è una delle opere più prestigiose dei Musei vaticani.
Note [modifica]
- ^ L'epitaffio sulla tomba di Felice de Fredis in Santa Maria in Araceli ricorda l'avvenimento; vd: AA.VV. Laocoonte: alle origini dei Musei Vaticani, 2006
- ^ AA.VV. Laocoonte: alle origini dei Musei Vaticani, 2006.
- ^ Esisstono comunque testimonianze coeve che danno la stessa identificazione della scultura appena rinvenuta: vd.Salvatore Settis, Laocoonte, fama e stile, 1999.
- ^ Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, 36, 37
- ^ AA.VV. Laocoonte: alle origini dei Musei Vaticani, 2006
- ^ Plinio, in effetti, descrive una scultura ricavata da un unico blocco marmoreo (ex uno lapide). Tale circostanza ha creato sempre molti dubbi di identificazione ed attribuzione: vd. Salvatore Settis, Op. cit., 1999.
- ^ cfr. Laocoonte
- ^ cfr. Timeo Danaos et dona ferentes
- ^ Salvatore Settis, Op. cit., 1999
- ^ AA.VV. Laocoonte: alle origini dei Musei Vaticani, 2006
- ^ Museo del Louvre
- ^ ibidem
Bibliografia [modifica]
- Haskell, Francis, e Nicholas Penny, 1981. Taste and the Antique: The Lure of Classical Sculpture 1500-1900 (Yale University Press), cat. no. 52, pp 243-47.
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